martedì 14 febbraio 2012

Eternit, comportamenti dolosi e omissioni: 16 anni ai supermanager

Dopo due anni e 66 udienze il processo Eternit si è concluso con la condanna in primo grado a 16 anni di reclusione e l'interdizione dai pubblici uffici del magnate svizzero Stephan Schmidheiny e del barone belga Louis Carthier. I due ex vertici della multinazionale dell'amianto sono stati riconosciuti colpevoli di disastro ambientale doloso e omissione volontaria delle cautele antinfortunistiche, e quindi condannati per il disastro negli stabilimenti di Casale Monferrato e Cavagnolo, mentre i giudici di Torino hanno dichiarato di non doversi procedere per quelli di Rubiera, in Emilia Romagna, e Bagnoli, in Campania, perché i reati sono estinti. Per il magistrato Raffaele Guariniello che rappresenta l’accusa “è un sogno”. E poi chiedendo una procura nazionale dice "abbiamo scritto una pagina storica di giurisprudenza”. Per capire però meglio il dispositivo e le ragioni dei giudici occorrerà aspettare il termine di 90 giorni per il
deposito delle motivazioni.


I numeri del processo
2.100 morti; 800 ammalati; 80 milioni di indennizzi alle oltre 5.000 parti civili: sono i numeri da capogiro del processo per l'amianto. Per leggere la sentenza, il Presidente del Tribunale di Torino, Giuseppe Casalbore, ha impiegato esattamente tre ore. Vi si riconoscono risarcimenti milionari al Comune di Casale Monferrato (25 milioni di euro), alla Regione Piemonte (20 milioni), all'Inail (15 milioni) e al comune di Cavagnolo (4 milioni). Nelle scorse settimane, il Comune di Casale aveva prima accettato e poi, dopo le proteste dei cittadini, rifiutato una transazione di 18 milioni di euro con gli imputati.

Centomila euro di risarcimenti sono stati disposti nei riguardi delle Associazioni dei familiari delle vittime e dei sindacati, che si sono costituiti parte civile nel processo. Trentamila euro ciascuno sono stati riconosciuti alle centinaia di familiari di vittime; la somma è stata assegnata quasi sempre a titolo di risarcimento e solo in pochi casi a titolo di provvisionale; 35.000 euro sono stati assegnati a coloro che si sono ammalati. La maggior parte delle morti per amianto si è concentrata nella zona di Casale Monferrato (Alessandria), dove c'era il principale stabilimento italiano della multinazionale. Il resto delle vittime è a Cavagnolo (Torino), Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli, sobborgo di Napoli.


Accolta la tesi dell’accusa
Un altro successo, dunque, dopo quello della Thyssen Krupp dello scorso anno per Raffaele Guariniello, secondo cui è giunto il momento di istituire una procura nazionale per la sicurezza sul lavoro. "Abbiamo scritto - ha dichiarato Guariniello in una intervista - una pagina storica di giurisprudenza. È stata accolta tutta l`impostazione: il disastro ambientale, giudicato non solo nei luoghi di lavoro, ma appunto anche negli ambienti circostanti. E poi il dolo, come è già capitato al processo Thyssen a carico di coloro che hanno deciso quanto si dovesse o non si dovesse spendere per la sicurezza". "È un processo - prosegue Guariniello - che non si era mai svolto in nessuna parte del mondo. Era la prima volta. È stato un processo giusto. Tutte le parti hanno avuto modo di esprimere le proprie ragioni. I giudici e gli avvocati sono stati grandi. Noi abbiamo fatto la nostra parte. Finalmente ha vinto la giustizia, l`idea che si può fare giustizia". Poi aggiunge: "Ora credo che siano davvero maturi i tempi per una procura nazionale che si occupi di sicurezza sul lavoro su tutto il territorio".


Le reazioni
«Una sentenza che, senza enfasi, si può definire davvero storica», dice subito il Ministro della Salute, Renato Balduzzi. Il ministro sottolinea «gli aspetti sociali e quelli strettamente tecnico-giuridici» della decisione dei giudici torinesi e aggiunge che ora «la battaglia contro l'amianto prosegue, nell'attività amministrativa e nell'impegno delle istituzioni e dei cittadini». Parole che rincuorano i parenti delle vittime che, della sentenza, sottolineano soprattutto quella parola «colpevoli» che - dice Bruno Pesce, portavoce dell'Aneva, l'associazione che li riunisce - rende «giustizia alle famiglie». Una sentenza «importante» ma, nel contempo, anche «amara», invece, per il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris. «Tante famiglie napoletane - prosegue il sindaco - non hanno infatti trovato giustizia a causa della prescrizione. Resta comunque una sentenza fondamentale perché chiama in causa, rinnovando l'urgenza di una risposta, il tema della bonifica e della riqualificazione di Bagnoli».

La difesa

Di segno opposto ovviamente le reazioni della difesa. Secondo l'avvocato Astolfo Di Amato, legale di Stephan Schmidheiny: «Un punto che emerge drammaticamente è che un capo di una multinazionale che ha stabilimenti in tutto il mondo, con una sentenza del genere viene reso responsabile di quello che accade in tutti gli stabilimenti» e quindi «un ampliamento della responsabilità di tale fatta è certamente un problema per gli investimenti che dovessero avvenire per la multinazionale in Italia». Inoltre, sottolinea Di Amato «l'imputato svizzero aveva investito 73 miliardi di lire nella sicurezza senza percepire alcun profitto. Riesce difficile - prosegue - capire come un imprenditore che spende 73 miliardi per la sicurezza possa causare un disastro. Lo vedremo nelle motivazioni».

[ilSole24Ore]

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